Preparare il mondo di domani, fare il passaggio, pensare a una nuova società: la proposta sembra prendere piede. Fiorisce negli slogan nelle marce e nelle manifestazioni; si invita a innumerevoli gruppi di discussione, simposi e rassegne tematiche; mobilita in particolare tanti giovani che vedono arrivare, non senza qualche timore, il momento in cui saranno loro gli attori e le attrici di questo rinnovamento. Anche se non è realistico affermare che tutti aderiscono al progetto per convinzione, la dura necessità in cui la realtà è costantemente martellata nei rapporti dell’IPCC ci costringe almeno a capire che dovremo mostrarci creativi, coraggiosi e audace!
In una domenica di sole
Il compito sembra così enorme e la scommessa, così folle, che è sempre probabile che si manifestino scoraggiamento (nella migliore delle ipotesi) e cinismo (nella peggiore). È che ci sentiamo un po’ come il piccolo David davanti al gigante Golia, armato della sua unica fionda per sconfiggere un avversario che sembra invincibile. È allora che è potentemente confortante, in una bella domenica di sole, entrare nel cortile di una scuola dove ci sono più di 200 sgabelli che ovviamente aspettano solo di accogliere così tanti visitatori. Benvenuti alla sfilata di moda! Hai detto sfilata di moda? Quale rapporto con un mondo nuovo può avere un evento del genere, rigidamente codificato e che riguarda tutt’al più solo una piccolissima parte della popolazione? Pazienza… L’organizzatore dello spettacolo non è un designer di marca, anche se condivide con lui una creatività illimitata. È proprio il tudiniano “negozio del mondo” Oxfam che, per la seconda volta, mette in evidenza abiti e accessori recuperati, salvati dal doloroso affondamento di tutti questi abiti che non smettono mai di ingombrare armadi, bolle di recupero… e bidoni della spazzatura.
C’è tutto: lo spazio centrale delimitato dagli spettatori, la musica ritmica a cui le modelle di giornata regolano il loro cammino, la presentazione al microfono delle modelle e le tecniche di makeover. Ah! I modelli… Tutti volontari e nessuno nel “canone”: ci sono i piccoli e gli alti, i magri e i generosi, quelli che stanno bene e si vede – e poi quelli che hanno dovuto fare un inferno di uno sforzo per mettersi in mostra al pubblico. Nessuno di loro “tira la faccia” specifico per una certa modellazione: sono felici di essere lì, così come sono, solo donne che i tristi padri considererebbero ordinarie, ma che in quel giorno sono davvero straordinarie. Perché quello che mostrano non è altro che la possibilità di un mondo dove si può esistere, essere belli (scusatemi, signori, non siete stati rappresentati…) e mostrarsi senza arrossire né barare e ancor meno standard. Qualcosa come un giardino selvaggio dove si sfiorano mille e uno fiori, tutti diversi senza che nessuno, dal più raro al più umile, reclama il podio.
Dal lato dell’abbigliamento, ancora una volta, è uno shock. Aiutato da alcuni professionisti del makeover e della sartoria, il negozio ha letteralmente ravvivato il suo stock di “seconda mano” abbinando colori, materiali e accessori. E ora le cravatte del nonno diventano cinture chic, i jeans banali si arricchiscono di pizzi e strass, un cardigan e un vestito poco attraente formano un completo vintage esplosivo. Momenti salienti della sfilata: un vestito ricavato da un sipario su cui sono state cucite centinaia di involucri di snack, quello che si vede da vicino è ricoperto di cavi di collegamento, quello che è fatto di mascherine sanitarie, quello che… Impossibile da citali tutti. Ma il pubblico, anche misto – tutte le età, tutte le origini – ha capito chiaramente che quello che ha visto lì, disegnato dalla marcia delle donne e dei due bambini in sfilata, è il disegno di un mondo possibile, di un altro mondo. Più giusto. Più libero. Più creativo. E che, senza dubbio possibile, sta già germogliando.